LORENZO NOCENTINI
"...Experience is an internal experiment."
SPETTACOLI e PERFORMANCE
"One in the Other" di Murat Adash

"One in the Other" è una mostra coreografica, una video installazione e una performance dal vivo. Prendendo il titolo da un gioco surrealista, entrambe le parti formano un rapporto mimetico tra loro. Sono costituiti da undici danzatori che assemblano i loro corpi per creare un ambiente di vita nello spazio:attraverso atti corporei di mimesi le distinzioni tra sé e altri diventano porosi e flessibili.Tracciare le capacità creative di adattarsi al proprio ambiente, di immaginare, di diventare altri attraverso l'assimilazione e il gioco, coreografie simili a giochi, sia dal vivo che sullo schermo, agiscono come cornici e specchi attraverso i quali il rapporto reciproco e circolare dei soggetti tra loro apre un'esperienza tattile della co-presenza intersoggettiva.
La coreografia sullo schermo invoca un rituale di contatto e contagio, implicando un movimento avanti e indietro: la comprensione del gruppo comporta ripetuti movimenti circolari tra l'individuo e il gruppo. Estendendo fuori dallo schermo la danza come una modalità di prova,i danzatori eseguono una traduzione e un'approssimazione dei modelli della coreografia simile al gioco per entrare in una situazione live e in relazione con il loro pubblico attraverso il gioco. Nel suo complesso, "One in the other" incanala forme di sintonia o corrispondenza che equivalgono a una sorta di contagio come un tentativo di sfidare le nozioni di confini.

Videostill. Arturo Bandinelli
Short video - Video Installazione
44 # Dono Sospeso Altrove
Spettacolo / primo studio sulle difficoltà di apprendimento (DSA)
Ideazione e coreografia: Monica Secco


11 performer, attrezzati di caschetto, attraverso azioni di teatrodanza e partiture coreografiche portano in scena il mondo emotivo dei DSA.
Il caschetto ha il duplice significato di un “cervello pesante” portato con stanchezza che diventa anche oggetto capace di proteggere i pensieri alternativi.
Il lavoro verte sull’esplorazione corporea ed emotiva del disagio incontrato quotidianamente da un DSA e dalla sua ricerca continua di adattamento ad un pensiero, detto verticale e tendenzialmente logico, selettivo e sequenziale.
Il 44 possiede i talenti dei numeri maestri che lo precedono e può esprimersi in modo estremamente versatile, può essere un innovatore e riformatore.
Istintivo e illuminato fautore di ogni possibile cambiamento.
Short Video
"Carousel" Progetto site-specific di Pablo Bronstein
a cura di Catherine Wood, OGR Torino
Punto di partenza di Carousel è il funzionamento dello zootropio, un dispositivo ottico inventato da William George Horner nel 1834, il cui nome deriva dall’unione delle parole zoe, che significa “vita”, e tropos, letteralmente "girare". Lo zootropio è composto da una serie di immagini riprodotte su una striscia di carta posta all'interno di un cilindro che, quando messo in moto, le fa animare in un’illusione retinica di un movimento che si ripete in loop, proprio come quello di una giostra (in inglese, carousel). Questo espediente viene utilizzato da Bronstein come metafora per descrivere la relazione tra lo spazio fisico – che sia quello dell'architettura oppure quello dei corpi – e il narcisismo endemico del mondo post-iPhone, come una sorta di preambolo della società del selfie.


Il visitatore, costretto ad un percorso obbligato, entra così in un labirinto, incontra una serie di scene in cui ballerini professionisti, seguendo una coreografia ideata dello stesso Bronstein in collaborazione con la coreografa Rosalie Wahlfrid, illustrano l’evoluzione della danza a partire da un’analisi degli spazi scenici e del rapporto con lo spettatore: dai balli partecipativi tribali ai rituali di corte, dal folk fino al balletto classico, il tutto in una progressione che rende le coreografie via via sempre più sofisticate.
Queste configurazioni performative portano in scena le dinamiche e le fascinazioni del voyerismo, del guardare e dell'essere guardato, attraverso una ripetizione seriale di movimenti spezzati che ricordano da vicino il linguaggio post-digitale delle GIF (una sorta di versione tecnologicamente avanzata delle sequenze di movimenti dello zootropio) e allo stesso tempo i tic sintomatici della bassa soglia di attenzione caratteristica dell'era contemporanea.
"Nabucco" di G. Verdi
Teatro Regio di Parma (Festival Verdi '19) - Regia di Stefano Ricci, progetto Ricci/Forte e coreografie di Marta Bevilacqua


